lunedì 15 aprile 2013
Quando il Cinema si prende cura dell’anima
Quando il Cinema si
prende cura dell’anima
“Il
cinema è lo strumento migliore per esprimere il
mondo
dei sogni, delle emozioni, dell’istinto, l’incursione attraverso
la
notte dell’inconscio: le immagini, come nel sogno, compaiono e scompaiono
fra
dissolvenze e oscuramenti; il tempo e lo spazio si fanno flessibili,
si
contraggono e si dilatano a volontà,
l’ordine
cronologico e i valori relativi della durata non corrispondono
più
alla realtà”.
Luis Bunùel
Il cinema è stato sin
dai suoi primi utilizzi un immenso bacino di immagini e di fantasia, tutto ciò
che veniva rappresentato dai film diventava in qualche maniera la
rappresentazione delle proiezioni e delle identificazioni di chi lo andava a
vedere, suscitando nello stesso tempo vari livelli emotivi, ma anche
riflessioni e pensieri.
Il cinema al
contrario degli altri mezzi di comunicazione può andare a toccare corde
dell’animo umano in maniera profonda; il particolare intreccio che mette in
relazione finzione e realtà spinge lo spettatore a guardarsi dentro, a porsi
delle domande, ad avere un contatto continuo ed inconscio tra la propria
esteriorità ed interiorità, producendo nello spettatore cambiamenti talvolta profondi.
In effetti la visione
di un film può dare vita a numerosi stati psichici che se da una parte
rappresentano puro e semplice momento di evasione, dall’altra la persona può
ritrovarsi in una situazione dove a mano a mano che la pellicola scorre, ci sia
una maggiore consapevolezza che porta ad un passaggio dove emergono in figura
espressioni del Sé e dinamiche interiori finora magari assopite.
Durante la proiezione
può succedere di tutto e anche da parte di chi la vede si può assistere alla
sperimentazione diretta di emozioni, sensazioni, fantasie, perché il tutto da
oggettivo diventa soggettivo ed ogni volta, alla fine, si ha come la sensazione
di aver fatto un percorso che se in alcuni casi può sembrare incompiuto, se
portato ad una sorta di consapevolezza può dare modo di dare un significato a
ciò che si è vissuto, in maniera personale e di trasformazione interiore.
E’ come se venisse in
qualche modo sottoposto ad un ulteriore montaggio che è del tutto personale, in
cui la persona può pensare ad un altro finale, ad aggiungere dei nuovi elementi
che sono tipici di quella persona e di nessun’altra dandogli un taglio assolutamente
individuale e profondo, questo perché è vero che ogni film è unico, ma la
sensazione che dà non è unica, ma legata allo spettatore, ognuno dei quali può
dare un significato diverso, mettendo in gioco le proprie proiezioni,
identificazioni ed introiezioni che vengono generate dal film stesso.
Non mi soffermerò in
questa sede sull’uso della cinematerapia che nasce come una disciplina afferente
alle arti terapie, in cui il mezzo film, riesce a stimolare una presa di
coscienza di contenuti interni alla persona che possono essere in quel momento
bloccati, rimossi o semplicemente accantonati, aiutando ad esprimere le
emozioni, ma su come un film possa semplicemente stimolare riflessioni,
emozioni e sorrisi, nel momento in cui si entra in pieno contatto con ciò che
vediamo.
Ed il film che mi
piacerebbe commentare e dal quale trarre qualche spunto di riflessione è il
Favoloso mondo di Amélie del 2001 con una deliziosa Audrey Tautou, che in una
prima visione non mi convinse molto, forse proprio per la stravaganza del tutto
particolare della protagonista, ma che in un secondo momento immergendomi e
nell’atmosfera del film ed entrando in relazione con il mondo emotivo di
Amélie, mi diede una vasta gamma di emozioni, ed una favola apparentemente
semplice si trasformò in un viaggio ricco di sensazioni e vissuti personali.
Per chi non conoscesse
affatto questo film, narra la storia della giovane Amélie Poulain che, dopo
aver perso la madre a causa di uno scontro con un turista suicida, lascia la
sua casa nativa e suo padre, per andare a vivere a Parigi dove si mantiene come
cameriera.
Un giorno a seguito
di un episodio dove Amélie restituì una vecchia scatola di latta che conteneva
il mondo intero di un bambino, al proprietario, diventato ormai adulto, iniziò
la sua missione e cioè consacrare la sua vita agli altri per migliorare
segretamente la loro vita, ma a seguito di uno strano album di foto, viene
condotta in un lungo e tortuoso viaggio attraverso Parigi, fino all’epilogo
romantico come avviene nelle più tradizionali storie d’amore.
Ma ciò che colpisce
di più di questo film è proprio la purezza e lo sguardo con cui Amélie nel suo
personale viaggio ci fa guardare alla vita, un modo semplice di ricordarci
l’importanza delle piccole cose e della ricchezza dello stare con l’Altro,
necessario per il completamento anche della propria felicità; avere attenzione
agli altri creando empatia con il loro mondo ed aiutandoli aiuta anche sé
stessa.
Per ricevere amore
bisogna provare soprattutto su di noi il piacere nel dare amore, nello
spendersi per entrare in relazione con gli altri, andando fuori dai nostri
contesti abituali ed osando, provare contatto pieno in
ciò che facciamo e viviamo, passando da una sensazione di paura nell’avvicinare
l’altro ad una sensazione di pienezza e di appartenenza, ri-scoprendo la
bellezza dello “stare con”.
Il film è costellato
di figure retoriche e simboli che sottolineano i vari passaggi e della trama
del film e dei passaggi di vita della protagonista, aiutando quest’ultima a
farle e farci esplorare il proprio mondo interiore, ma aiutando anche le nostre
proiezioni a venir fuori, attraverso una visione fantastica ed immaginifica che
permette di poter osare a vedere il mondo con occhi diversi quasi scanzonati e
fanciulleschi e di uscire dal guscio e dalla timidezza per affacciarsi in
maniera diversa a ciò che ci circonda.
Interessante l’uso ed
il rapporto che i personaggi hanno con la fotografia che all’interno del film
diventa quasi un personaggio a tutti gli effetti a tratti complesso e
controverso che permette ai protagonisti Amélie e Nino di fargli percepire la
propria immagine e la propria identità, per loro diventa un mezzo per scovare
la psicologia degli altri, ma anche per auto analizzarsi, scoprendo anche
aspetti nuovi di loro stessi.
E l’escamotage ideato
da Amélie sempre attraverso le fotografie che rappresentano il nano da giardino
intento a girare il mondo, riesce a trasmettere al padre un nuovo senso della
vita, lasciandosi alle spalle il passato dedicandosi ad un nuovo contatto con
il mondo; la foto come fil rouge e metafora della relazione, del cercarsi e del
trovarsi dopo un lungo cammino ricco di emozioni.
Anche la musica come
i colori forti ed energici del film, ci aiuta ad intraprendere un percorso
emotivo e visivo che non lascia indifferenti, dando ancora più enfasi alle
vedute dei tetti di Parigi, agli sguardi a tratti infantili della giovane
protagonista, facendoci sognare, strappandoci un sorriso e magari anche una
piccola lacrima come ogni lieto fine che si rispetti.
Vorrei concludere con
una citazione dal film che pronuncia l’uomo dalle ossa di vetro che racchiude
in poche righe ciò a volte ci si dimentica di fare nel nostro quotidiano
talvolta per pigrizia o per scarsa fiducia nelle proprie capacità o perché
semplicemente abbiamo paura di contattare dapprima noi stessi e poi l’Altro.
“ Mia piccola Amélie,
lei non ha le ossa di vetro. Lei può scontrarsi con la vita. Se si lascia
scappare questa occasione con il tempo sarà il suo cuore che diventerà secco e
fragile come il mio scheletro. Perciò si lanci, accidenti a lei !!! ”
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