venerdì 31 ottobre 2014

L’incubo di Nosferatu ed il fascino del doppio assopito.






Sarà perché oggi è la festa di Halloween o sarà perché è un film al quale come spettatrice ed amante della cinematografia in bianco e nero sono particolarmente affezionata, mi è capitato di far andare i miei pensieri verso una figura del cinema per niente rassicurante, ma a mio avviso, affascinate, come quella del vampiro.
Da sempre credo che sia una figura letteraria, cinematografica che ha affascinato tante persone e che attivi nel nostro immaginario una serie di significati sconosciuti ai più, anche talvolta a noi che siamo gli ”addetti ai lavori mentali ed emotivi”.
In particolare di tutte le rivisitazioni che nonostante la tecnologia, il 3D ed i vari remake, mi ha sempre colpito per la narrazione visiva e del personaggio del vampiro, è stato il film “Nosferatu” di F.W. Murnau, datato 1922.

Si potrà pensare che il fatto che sia in bianco e nero, possa suscitare meno angoscia e terrore, ma il gioco di luci ed ombre, l’ambientazione inquietante, le immagini cupe, morbide dove regna disperazione e malessere fanno di questo film un insieme di simboli e paure che fanno parte dell’intera esistenza.
Le radici di questo primo archetipo di personaggio, vanno ricercate nel filone, tipicamente romantico, di tipo “esoterico-cimiteriale”, che poi divenne il romanzo gotico e che, nella letteratura italiana, trova la loro espressione nelle pagine degli scapigliati . 
La morte conduce alla scomparsa della vita, del corpo, della coscienza di Sé e tutto questo per l’Uomo è difficilmente accettabile, ed ecco che si crea la figura del “Non-morto” che rappresenta non un desiderio al quale aspirare, ma un incubo dal quale fuggire.
Il personaggio è inquieto, solo ed incapace di provare emozioni, sentimenti ed il dono dell’immortalità è una manifestazione di tutto ciò che proprio con la morte si voleva esorcizzare e questo nuovo stato diventa una forma di dannazione eterna e, come una specie di virus incontrollabile, vissuta come un’addiction, non gli dà tregua e né serenità.

La figura del vampiro successivamente riprodotta al cinema, ha rappresentato l’ambiguità, la sensualità, il passaggio tra amore e morte, tra la bellezza e l’orrore per utilizzare le parole di Freud, del sonno e della veglia in un continuum che non ha punti precisi di sutura.
Ma al contrario nel film di Murnau, massima espressione del cinema neo-realista tedesco, il vampiro, il non-morto presenta un corpo straziato, calvo, ed una postura appartenente più al mondo dei freaks che non di un possibile quanto improbabile seduttore fascinoso delle tenebre.
Nosferatu il vampiro può essere visto come il lato oscuro dell'altro protagonista, il  giovane avvocato Jonathan Harker, inviato in Transilvania dal suo capo, per curare l'acquisto di un'abitazione a Londra fatto da un nobile locale, appunto il Non-morto.

E’ la parte selvaggia, non consapevole di Harker, che incarna invece l'uomo moderno, preso e magari schiacciato dal peso dei doveri sociali che forse non vuole e non che può permettersi di ascoltare la sua parte più fragile, più irrazionale, più istintiva legata anche ad un sottile ed inconfessabile piacere per ciò che la società non permette. 
E ciò che è diverso da noi, sia fuori che dentro, che a volte va taciuto, non visto e sconfitto perché ne abbiamo paura, perchè non siamo stati magari educati e preparati a sentire cosa ciò provoca in noi, cosa la relazione con un mondo nuovo, può scatenare.
Un giorno, infatti, Harker entrando in contatto con la sua parte oscura, Nosferatu, non riuscirà a mantenere l'ordine, la stabilità emotiva e mentale e la sua vita si sgretolerà in frantumi. 

E mi chiedo quanto tutto questo, fuori da ogni spunto e metafora cinematografica possa succedere a molte persone che vivono una vita ordinaria, magari tranquilla, ma che non riescono in qualche momento ad ascoltare ciò che c’è di diverso e di nuovo intorno, e dentro di loro, soffocandolo per timore e per non avere la consapevolezza di ciò che davvero sentono nella e della loro parte Oscura, dei loro sensi e dei loro bisogni anche quelli più elementari.  
Entrare in contatto con tutto questo, esorcizza ciò che fa paura e rende più consapevoli della nostra natura e di chi siamo e forse instaura una riflessione anche sulla relazione con il campo sociale e di tutti i suoi introietti.

lunedì 20 ottobre 2014

Cosa crea un blocco nell'andare dallo psicologo?




Stamattina leggendo varie notizie all'interno dei quotidiani mi sono trovata a provare interesse per un'inchiesta del quotidiano la Repubblica, postata oltre che da me anche da altri miei colleghi, nella quale si sottolineava l'incremento davvero notevole dell'incidenza della depressione dai tempi della crisi, addirittura come seconda causa di malattia dopo quelle cardiovascolari.
Non entrando in merito della descrizione dei trattamenti, (vabbè la Gestalt pensano forse che sia un animale mitologico a tre teste!!!!) mi sono più interrogata sul come mai nel nostro Paese è sempre così difficile e complicato esercitare la nostra professione e quanti pregiudizi culturali sono legati ad essa e sopratutto mi sono chiesta, ma serve davvero fare queste inchieste? cioè non è che la depressione sia nata adesso con la crisi, e non è che si dibatta sui problemi psichici da ieri.
E questo mi rendo conto succede anche tra quelli che sono i nostri amici, i nostri familiari o magari i nostri compagni che appoggiano in maniera carina ed anche, a volte, sostenendo il tutto a livello economico, ma che se poi ci inizi ad intavolare una discussione sul fatto che magari anche loro ne avrebbero bisogno, ma così anche per scherzare, negano come se gli avessimo proposto di andare alla gogna.
Un mio collega tempo fa mentre ci confrontavamo su come far incrementare la nostra attività si mostrava fiducioso sulla nostra professione, anche in virtù delle varie serie Tv che stavano per mandare in onda sia sulla tv a pagamento che gratis e mi diceva " vedrai che ora sulla scia di questo arriveranno più persone" ora, premesso che da una parte sono contenta che non sia successo ho pensato che allora le persone non si fanno abbindolare da tutto ciò che vedono in tv, dall'altra mi sono detta come mai su questo aspetto proprio non c'è verso????
Oddio so che molte puntate sono state viste più dagli addetti ai lavori che non dal grande pubblico ,anche perchè in effetti alcune cose potevano anche risultare noiose, non tutti credo trovino interessante parlare di transfert, supervisione, problemi sessuali e via dicendo.
Nelle mie varie elucubrazioni mentali mi sono fatta l'idea, e non solo io, che siamo un popolo in cui si chiede aiuto allo psicologo solo dopo eventi estremamente drammatici come un lutto o una grave separazione e solo dopo a volte aver consultato amici e fattucchieri, che con le loro pagine sulla lettura delle carte degli angeli arrivano ad un fatturato che neanche un politico.

Ma dallo psicologo non sia mai, e la risposta è : "ma mica sono matto/a che vado dallo psicologo !!!!!!! "perchè è ovvio che se uno ci va, ha di sicuro qualche rotella fuori posto ed invece mi chiedo indebitarsi per un telefono con fila annessa, non vedere che tuo figlio ha magari delle difficoltà relazionali o che basta un nulla e ti monta la rabbia al volante, o che magari finita una relazione ne inizi subito un'altra, sono atteggiamenti sani ??? e ne potrei citare altri.

Ma forse è proprio qui il punto, siamo in un momento dove non si sa più cos'è la sanità, o meglio si fa finta di non sapere, dove il veicolo delle informazioni e il disagio emotivo che ne consegue è quello a lungo termine di instaurare degli atteggiamenti che vanno ormai verso un benessere fittizio come il comprare, il dover dimostrare uno status, il dover aver paura dell'altro e del contagio, ma quello non è benessere.

Noi terapeuti mi rendo conto che non facciamo notizia e che non facciamo parte dell'orgia mediatica come altre professioni, o meglio, serviamo quando succede la tragedia ed allora si parla di attenzione verso i problemi della testa e che di noi ci sarebbe più bisogno, ma tutto ciò non basta e non è sufficiente e mi sembra un atteggiamento molto ipocrita.
Oppure se siamo considerati per promuovere la nostra professione, ovvio che tutto ciò deve avvenire in forma gratuita con una serie infinita di sportelli e di attività a trottola come fossimo dei corridori alla maratona di New York, perchè scusa, ma che dopo anni di studio e di tirocini formativi ma che pretendi anche di essere pagato??? 
Che sciocca anche io, giusto siamo nel paese del volontariato per qualsiasi cosa, ma c'è una differenza che il volontariato lo scelgo, un lavoro invece va pagato, ma qui è tutto un unico amalgama.

Siamo legati come categoria ad una serie di pregiudizi e maldicenze che a volte fanno male al cuore, dove basta che qualche collega scriva per un giornale, allora lo fa per guadagnare pubblicità e tutto ciò che scrive è perchè così ci si alimenta la sua associazione.
Fa male pensare che il nostro lavoro non sia adeguatamente preso in considerazione, noi siamo a tutti gli effetti dei medici che i medici a volte non vogliono vedere.

Perchè il benessere fa paura, perchè le persone felici pensano meglio, amano meglio e ragionano meglio e tutto ciò non va bene, è più produttivo e consumistico un paese pieno di persone infelici che però comprano, o hanno magari interessi effimeri, una società che vuole difendere valori granitici e non si preoccupa dello sfaldamento delle relazioni, che non condanna le reazioni omofobe e scandalizzate per dei patti civili che danno diritti alla Persona come afferma la nostra meravigliosa Costituzione Italiana, o non si attiva per combattere le paure razziali che si stanno incrementando o che non protegga dei bambini che stanno perdendo la loro infanzia.

E' vero il costo di circa 60 euro per rimettersi in carreggiata può avere il suo peso in tempi di crisi, ma vuoi mettere il piacere, il sentirsi bene, l'attivare le risorse cosa può suscitare in un secondo momento??? a cosa può portare ??? per carità poi staremmo meglio e sarebbe una tragedia!!!!
Si spendono a volte tanti soldi che alcune persone, anche in tempi di crisi non riescono neanche a rendersi conto, ma lo fanno tutti i giorni trascurando magari sè stessi.
Nessuno dice che è semplice e si, ogni tanto ci saranno anche dei fazzoletti che verranno usati fino all'ultimo, ma chi dice che non siano lacrime costruttive? 
Forse il punto è che non ci si vuole davvero bene, o meglio lo si dice, ma poi non lo si fa per paura perchè a volte si rimane anche aggrappati ai propri problemi un pò come una coperta di Linus, in finale se poi sto meglio e guardo il mondo diversamente come faccio ad accettare il mondo stesso ed a farmi accettare? E se poi rimango solo perchè sono cambiato??? e se divento una persona migliore????? 

E quindi è meglio continuare in alcuni casi a nascondersi, a lasciare che il benessere, il farsi una coccola per la propria Persona sia soltanto una chimera, un qualcosa che fanno alcune persone pazze ed illuminate, ma non certo io che non ho bisogno di qualcuno che mi sostenga su cosa e come devo fare, io non ho bisogno di mettermi in discussione, di essere davvero ascoltato, di fare esperienze costruttive, meglio chiamare una veggente, stressare l'amica o rifare gli stessi errori a ripetizione, costa meno, non la veggente ovvio!!!, e mi permette di lamentarmi all'infinito, senza fare nessuno sforzo.

Forse un pò di sforzo e di fatica per sè stessi dovrebbero iniziare ad essere delle materie da insegnare, un qualcosa di importante, quasi un'educazione alla quale non siamo più abituati, si è talvolta anche rassegnati nel non voler stare bene, è meglio continuare a comprare e sopravvivere che essere, meglio lamentarsi che iniziare a fare, meglio non "sentire" ciò che ci frulla a livello emotivo, meglio non avere nessuna RESPONSABILITA'. 

Perchè si avrebbero poi i nervi scoperti, si diventerebbe vulnerabili e quindi " deboli" ed in una realtà di finti forti poi si accorgerebbero di noi, e sarebbe per alcuni una tragedia, l'essere visti può far male più dell'invisibilità, perchè poi non si hanno più scuse.

E questo non è un problema di soldi, ma è tutta un'altra storia. 

inchiesta di Repubblica sulla Depressione



Per riflettere e per avere uno sguardo su ciò che succede ai tempi della crisi e come può essere trattata, perchè di depressione si può guarire.




http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2014/10/17/news/la_depressione_al_tempo_della_crisi-97695717/

giovedì 16 ottobre 2014

CONVEGNO 6 NOVEMBRE AULA MAGNA DI PSICOLOGIA DELL' UNIVERSITA' G.D'ANNUNZIO DI CHIETI





Per tutti quelli che fossero interessati alla tematica delle "Nuove Dipendenze", vi invito a partecipare al convegno che si terrà il 6 Novembre presso l'Aula Magna della Facoltà di Psicologia dell'Università G. D'annunzio di Chieti.

Il titolo del convegno "Le Nuove Dipendenze... la patologia in touch" raggrupperà vari esperti della relazione che si interrogheranno su come sono cambiate le dipendenze e come, da un punto di vista metodologico, si può lavorare in una modalità relazionale e non soltanto nella presa di coscienza del sintomo e della sostanza.

Saremo presenti io ed altri colleghi ad indirizzo Gestalt Psicosociale per fornire strumenti e riflessioni su questo tema così attuale e complicato.

Di seguito il programma: 


8:45 Accoglienza partecipanti

9:00 saluti delle autorità: Dott. S. Paolucci (Assessore Sanità Regione Abruzzo); Dott. T. Di Iullo (Presidente Ordine Psicologi Regione Abruzzo) Introduce e modera la Dott.ssa Cinzia D’Amico (psicologa, psicoterapeuta, consigliere dell’Ordine degli Psicologi d’Abruzzo)

9:30 Le basi genetiche delle dipendenze Prof. L. Stuppia (Direttore di Dipartimento di Scienze Psicologiche, Umanistiche e del Territorio)

10:00 Il contatto che crea la relazione: dal virtuale al touch. Dott. P. Greco (Psicologo, Psicoterapeuta, Direttore Scuola di formazione “Società Italiana Gestalt”)

10:30 La dipendenza senza sostanze: dal virtuale al con-tatto emotivo. Dott. Claudio Agostinone (psicologo psicoterapeuta presso la comunità Soggiorno Proposta di Ortona)

11:00 Coffee break

11.30 Il tempo delle relazioni in un click. Dott.ssa Mara Lastretti (Psicologa, Psicoterapeuta, Dottoranda di Ricerca Neuroscienze Clinico Sperimentali e Psichiatria, Policlinico Umberto I Roma, docente presso SIG.)

12.00 FOMO, "Fear of missing out": la dipendenza dai social network. Dott.ssa Valeria Natali (Psicologa, Psicoterapeuta, Dottore di Ricerca in Psicologia Cognitiva, Psicofisiologia- Personalità, docente presso SIG) 

12:30 Presentazione della ricerca sul GAP. Dott. 
Gaetano Ruggieri (psicologo, psicoterapeuta 
presso la comunità Nuovo Mondo Onlus Teramo)

13:00 Discussione moderata dalla Dott.ssa D’Amico

13.30 - 14.30 pausa pranzo

14.30 Assaggi di Gestalt- Esercitazione

15.00 Momento Interattivo-Dalla Teoria alla Pratica, 
Psicoterapica nelle nuove dipendenze
Greco, Lastretti, Natali, Venanzoni

15.45 Come la metodologia della Gestalt Psicosociale interviene nelle nuove dipendenze: La cassetta degli attrezzi. Dott.ssa Emanuela Venanzoni (Psicologa, Psicoterapeuta, Art Counselor, docente presso SIG)

16.30 Chiusura Lavori

VERRA' RILASCIATO ATTESTATO DI PARTECIPAZIONE 

INGRESSO LIBERO

lunedì 13 ottobre 2014

LE RELAZIONI IN TASCA.





Pochi giorni fa rileggevo l'Amore Liquido di Bauman per riprendere dei concetti sulla relazione, e mi sono imbattuta di nuovo nel paragrafo scritto da Catherine Jarvie che ha scritto molto su quella che viene chiamata la "relazione tascabile".
Ma in realtà più che ad una riflessione culturale mi sono venute in mente le chiacchiere intime con le mie amiche, amici, colleghi terapeuti e terapeute alle prese con le consulenze di coppia ....che in questi giorni sembra il ritornello di una canzone già sentita ....su un giradischi rotto aggiungerei .... 

Ma andiamo alla Jarvie, la quale afferma che la relazione tascabile di successo è dolce e di breve durata, dolce perchè risiede nella piacevole consapevolezza del fatto che non occorre fare grandi manovre per tenersela e per prolungare lo stato di estasi che la accompagna, in poche parole non fai nulla per poterne godere a pieno ed in tutti i sensi, sopratutto i sensi!!!!

Essa incarna il fatto di essere istantanea ed estremamente smaltibile, un pò come un buon espresso di prima mattina, ma è ovvio che anche lì ci sono delle condizioni per far si che possa funzionare, altrimenti sarebbe troppo facile ... eh dai almeno un minimo di fatica vorremmo farla no ???

Ma ora veniamo alle regole come fosse un Fight Club delle relazioni....

Prima regola della relazione tascabile è che tu e soltanto tu hai il controllo della situazione durante tutta la sua breve ed intensa vita, il successo dipende solo da noi.
Seconda regola: bisogna avere piena coscienza e giudizio, l'amore a prima vista è bandito, niente innamoramento, cuore congelato, niente affinità elettive che fanno capolino nel cervello, perchè tanto sono sbagliate e fuorvianti per la piena riuscita. Il respiro deve essere regolare, non avremo quindi nè sussulti, nè immagini da sogno che possono accompagnare il tragitto tra un incontro ed un altro, nè batticuore, nè farfalle nello stomaco, quelle sono volate via da un pezzo, oppure le possiamo ritrovare in qualche collezione che sarà utilizzata come metodo di rimorchio un pò antico.

Che cos'è l'amor cantava Capossela, bene qua possiamo anche fare a meno di chiedercelo, non importa, non è contemplato, ed il desiderio non strugge i nostri pensieri e le nostre emozioni come dei novelli Shakespeare o delle tormentate Jane Austen, troppo rètro, troppo melenso, il desiderio è qualcosa che soddisfa un bisogno, una meta alla quale arrivare senza troppa fatica, senza troppi pensieri. La calcolatrice affettiva deve essere l'unico strumento che possiamo utilizzare, perchè è sottointeso che la convenienza è l'unica cosa che conta, quindi mente lucida, cuore gelido, ma corpo pronto.

Meno si investe nella relazione, meno insicurezze avremo quando ciò terminerà, perchè sai che terminerà, e come nel mercato immobiliare, le fluttuazioni non porteranno nessuno scompenso emotivo perchè tu sei già consapevole che potrai avere se vorrai un'altra casa con un altro giardino ed un altro inquilino.

Ah già c'è pure una terza regola: è necessario mantenere sempre inalterata la relazione tascabile, la convenienza nel giro di poco si può trasformare in uno dei tanti gironi infernali, mai e poi mai abbandonare la razionalità, stare sempre all'erta come gatti nella notte e non abbassare mai la guardia.
Bisogna essere attenti perchè in ogni momento può arrivare una "sottocorrente emotiva" che come una piccola e strisciante serpe si può insinuare, e questo si sa che comunque e purtroppo avviene per la nostra e sciocca natura, siamo umani e forse qualcuno di noi ha ancora in sè il nucleo dell'emotività, ma ciò non deve allarmare, anzi è un campanello d'allarme che ci invita a dire "ok iniziamo a fare le valigie e ad emigrare in altri lidi".

Tanto ormai ci sono molte scuse per amare la relazione tascabile, ormai viviamo in un' epoca di ambivalenze e dissociazioni dove basta che sia andata male una relazione per dire "no guarda forse è meglio così", oppure non mi sento pronto/a, oppure dopo mesi di frequentazione, la classica frase non sento nulla per te, sai è come se il livello emotivo non fosse scattato, che tanti non sanno neanche come si scrive livello emotivo!!!!!!

Ma d'altronde come ha osservato Ralph Waldo Emerson, "quando si pattina sul ghiaccio sottile, la salvezza sta nella velocità. Se la qualità difetta, si cerca redenzione nella quantità", e mi sembra che in giro ci siano una miriade di pattinatori/pattinatrici che neanche alle Olimpiadi invernali, degli atleti della relazione.

Ma io sono felice come donna di appartenere ancora a quella categoria di persone e ne conosco un bel pò qui tra le mie più care amiche ed amici che crediamo che una Jane Austen esista in ognuno di noi, e che non siamo nati per accontentarci, e come terapeuta della Gestalt, che la relazione, l'affetto e l'amore siano un bene da preservare e non un bene di consumo, e.... che l'impegno, il desiderio, il piacere di corteggiare, il sospirare, l'ubricarsi d'amore, il non dormire di notte, siano non come le dodici fatiche di Ercole, ma come il senso di una vita piena di colori, di vivere in pieno e non di sopravvivere.
E poi ............. questo pallore di emozioni, questa paura di dire, fare, baciare e sussultare per qualcuno, queste scuse per non ammettere che alcuni non hanno paura, ma non hanno semplicemente voglia di mettersi in gioco davvero, non fa che aumentare le incertezze reciproche, la diffidenza e la non condivisione ed allontana purtroppo sempre di più....

L'educazione affettiva, all'amore e alla condivisione non credo debbano essere soltanto degli obbiettivi da raggiungere in terapia e/ o in un percorso di consulenza, ma degli elementi fondanti della vita di ognuno.


“La soddisfazione, nell’amore individuale, non può essere raggiunta senza la capacità di amare il prossimo con umiltà, fede e coraggio: in una cultura in cui queste qualità sono rare, l’acquisizione della capacità di amare è condannata a restare un successo raro“

( Erich Fromm, Art of loving.)